lunedì 12 novembre 2012

GIULIETTO CHIESA (SITUAZIONE POLITICA) PARTE 2 RADIO IES DALLE 10 ALLE 12


E ora monti vuole la patrimoniale


Salve le volpi di Reggio Emilia.

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Per quale squadra sta giocando, Monti, la nostra partita?


Dove va il movimento 5 stelle ?

di Paolo Becchi

Se, in questi ultimi mesi, ho difeso più volte il Movimento 5 Stelle dagli attacchi insistenti di stampa e televisione, è perché in questo movimento ho sentito la forza di chi è contro, di chi resiste, di chi comprende che, di fronte all’oppressione delle nostre libertà e dei nostri diritti, non si può che “divenire-rivoluzionari”. Grillo ha ragione, quando dice: «siamo in guerra», «siamo la rivoluzione». Ogni rivoluzione ha, però, bisogno dei suoi cani sciolti, dei suoi randagi, di coloro che, come diceva René Char, vogliono «partecipare allo slancio. Non al festino, suo epilogo». Io sono un cane randagio, uno che resterà sempre “contro”. Ed è per questo mi rivolgo, ora, direttamente al Movimento, in un momento in cui temo – ma spero con tutto il cuore di sbagliarmi – che esso cominci a pensare nei termini della vecchia logica di “partito”, che inizi a farsi i propri conti in tasca: quanti voti avrò alle prossime elezioni, quanti voti posso prendere o perdere. Così si aspetta già il “festino”. Questa logica, a mio avviso, mi pare affiorare dalla mancata presa di posizione, da parte del Movimento 5 Stelle, sul tema che segna la vera “posta in gioco” della “rivoluzione”: l’uscita dell’Italia dall’Europa e dalla moneta unica ed il recupero integrale della propria sovranità politica ed economica.



Il Movimento, su questo punto, rischia di venir meno ai suoi compiti. Prende una posizione ambigua, equivoca. Finirà per accettare la lezione della politica tradizionale, ossia non dire la verità al popolo, per paura di perdere voti? E’ quanto si intravvede nelle parole di Grillo: «Io non sono contro l’Europa e contro l’Euro, dico che a decidere devono essere i cittadini con un referendum propositivo senza quorum». E, ancora, nel recente post Grillo for dummies: «“E” come Euro: la decisione di rimanere nell'euro spetta ai cittadini italiani attraverso un referendum, questa è la mia posizione. Io ritengo che l’Italia non possa permettersi l’euro, ma devono essere gli italiani a deciderlo e non un gruppo di oligarchi o Beppe Grillo». Cosa significa? Cominciamo con il chiarire una cosa: dall’Euro l’Italia non potrebbe certo uscire tramite un referendum abrogativo. Non soltanto, infatti, l’art. 75 della Costituzione vieta esplicitamente che possa svolgersi un simile referendum sulle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali ma, secondo una consolidata interpretazione della Consulta, non sarebbe mai possibile interferire, attraverso referendum, con l’ambito di applicazione delle norme comunitarie e con gli obblighi assunti dall’Italia nei confronti dell’Unione Europea. Si dirà: Grillo ha proposto un referendum “propositivo”, non abrogativo. Nel nostro ordinamento, però, non è possibile proporre lo svolgimento di referendum consultivi, al di là delle espresse previsioni della costituzione (articolo 132, ai sensi del quale tali consultazioni riguardano unicamente modifiche ai territori delle Regioni).

E tuttavia la proposta di Grillo ha un precedente. Per uscire dal “blocco” che la costituzione pone all’intervento diretto del popolo in materia di rapporti con l’Europa, Grillo sembra in qualche modo richiamare quanto avvenne nel 1989, quando, con legge costituzionale (3 aprile 1989, n. 2), fu indetto un “referendum di indirizzo” (ossia consultivo) sul conferimento di un mandato al Parlamento Europeo per redigere un progetto di Costituzione europea. Fu necessaria, allora, una legge di iniziativa popolare promossa dal Movimento federalista europeo – successivamente sostituita dalla proposta di legge costituzionale presentata dal Partito Comunista – la cui approvazione richiese la doppia lettura in entrambi i rami del Parlamento, secondo l’iter necessario per le leggi costituzionali. La Costituzione non prevede, nella sua lettera, un’ipotesi simile, ma nell’89 i partiti furono concordi nell’approvare questo strumento atipico (il “referendum di indirizzo”) mediante una legge costituzionale ad hoc, formalmente “in deroga” o “rottura” di quanto previsto dall’art. 75 della Costituzione, per legittimare con il ricorso al voto popolare l’accelerazione del processo di integrazione europea. Ma, limitandosi semplicemente all’indizione di quella singola consultazione, la legge costituzionale non ha introdotto nel nostro ordinamento il referendum di indirizzo, il quale è per così dire, una volta svoltesi le operazioni di voto, uscito dallo scenario costituzionale, facendo così svanire la temporanea “rottura della Costituzione”.

Grillo, però, non può non sapere che questa ipotesi non si ripeterà, salvo una vittoria che, al momento, sembra andare al di là di ogni realistica previsione e che porti il Movimento 5 Stelle a diventare, da solo, partito di maggioranza assoluta in Parlamento. Verosimilmente, quindi, egli non avrà i numeri per far approvare una legge costituzionale che permetta di istituire un referendum consultivo sull’Euro (doppia votazione in entrambe le Camere, ed approvazione a maggioranza di 2/3 o, quantomeno, assoluta). Referendum che, peraltro, sarebbe – come scrive Grillo – meramente consultivo, ossia diretto semplicemente a rilevare il parere della cittadinanza e privo di effetti vincolanti. La decisione resterebbe, pertanto, nelle mani dei “rappresentanti”, del Parlamento, il quale sarebbe persino libero di ignorare il risultato della consultazione dei cittadini.

Stesso discorso vale per il “programma” del Movimento 5 Stelle, nel quale si prevede l’istituzione di «referendum sia abrogativi che propositivi senza quorum». Anche in questo caso, infatti, introdurre referendum “propositivi” significherebbe dover modificare la Costituzione attraverso l’iter previsto dall’art. 138 Cost.: approvazione a maggioranza assoluta da parte di ciascun ramo del Parlamento con due distinte deliberazioni. Certo, se nelle prossime elezioni politiche il Movimento 5 Stelle diventasse la prima forza politica del Paese ed avesse la maggioranza assoluta, ovviamente potrebbe anche cambiare la Costituzione. Ma, al momento attuale, ci pare un’ipotesi piuttosto irrealistica. Certo è vero che il realismo in politica, come avvertiva Lukács è una “malattia mortale”: non fa però male rimanere, talvolta, con i piedi per terra.

Grillo non può allora non sapere che al momento non vi è nessuna reale possibilità di un referendum – di qualsiasi natura – sull’Europa e la sua moneta. Se le cose stanno in questi termini, dietro il richiamo retorico alla “volontà dei cittadini”, alla democrazia diretta ed al suo principale strumento (il referendum popolare), sembra esserci in realtà un atteggiamento “pilatesco”, forse per la paura che, prendendo una posizione politica netta su questo tema, il Movimento possa perdere voti.

Si ripete che il Movimento è “fluido”, liquido, che le sue linee politiche si formano in continuazione attraverso la rete, in un divenire costante. Ed allora perché Grillo, invece che proporre un “referendum”, non chiede al proprio Movimento di esprimersi attraverso la rete, di decidere la propria posizione sull’Euro con una consultazione diretta? Se il Movimento 5 Stelle vuole davvero proporre una nuova forma di democrazia, una rivoluzionaria democrazia “diretta”, in cui i cittadini partecipano direttamente e realmente alla vita politica, non può certo pensare di servirsi dei pochi e vecchi strumenti di consultazione popolare concessi, malvolentieri, da un sistema politico, come il nostro, ancora di natura rappresentativa.

Il “referendum” sull’Euro è un’illusione, un modo di prender tempo, di evitare di rischiare. Ma un movimento rivoluzionario non può permettersi di temporeggiare. Il Movimento prenda una posizione, attraverso i suoi strumenti di democrazia e partecipazione: una discussione sulla moneta unica e sull’Europa che si concluda con una votazione in rete tra gli attivisti dalla quale possa emergere in quale direzione intende andare il movimento e che cosa intende proporre in vista delle prossime elezioni politiche. Sto chiedendo troppo?

mercoledì 1 febbraio 2012

Tutti gli uomini di Goldman Sachs

BANCHE

Tutti gli uomini di Goldman Sachs

16 novembre 2011
LE MONDE PARIGI
PE Sanchez
Mario Monti, Lucas Papademos e Mario Draghi hanno qualcosa in comune: hanno tutti lavorato per la banca d'affari americana. La rete d'influenza dell'istituto corresponsabile del crack greco si stringe attorno ai vertici dell'eurozona.
Sono seri e competenti, pronti a soppesare i pro e i contro, capaci di studiare a fondo le varie questioni prima di pronunciarsi. L'economia è la loro passione. Si scoprono solo molto di rado, questi figli dei Lumi entrati nel Tempio dopo una lunga e difficile procedura di reclutamento. Sono al tempo stesso un gruppo di pressione, un'amichevole rete di informatori, una struttura di mutuo soccorso. Sono i compagni, dei maestri e dei grandi maestri che devono "diffondere nell'universo la verità acquisite nella loggia".
I suoi detrattori accusano la rete di influenza europea organizzata dalla banca americana Goldman Sachs (Gs) di funzionare come una loggia massonica. A livelli diversi il nuovo presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, il presidente del consiglio italiano Mario Monti e quello greco Lucas Papademos sono le figure totemiche di questa rete di relazioni.
Il primo è stato vicepresidente di Goldman Sachs International per l'Europa fra il 2002 e il 2005, era "associato" incaricato delle "imprese e dei paesi sovrani", il dipartimento che poco prima del suo arrivo aveva aiutato la Grecia a truccare i suoi conti grazie a dei prodotti finanziari "swap" sul debito sovrano.
Il secondo è stato consigliere internazionale di Goldman Sachs dal 2005 a oggi. Secondo la banca forniva consulenze sugli "affari europei e sulle grandi questioni delle politiche pubbliche mondiali". Di fatto Monti è stato un "apritore di porte", il cui compito consisteva nel penetrare nel cuore del potere europeo per difendere gli interessi di Gs.
Il terzo è stato governatore della banca centrale greca dal 1994 al 2002. A questo titolo ha svolto un ruolo poco chiaro nel mascheramento dei conti pubblici compiuto con l'aiuto di Gs. Il principale amministratore del debito greco rimane Petros Christodoulos, ex trader della banca americana a Londra.
Altri due pesi massimi della rete di Goldman Sachs in Europa sono stati molto presenti nella crisi dell'euro: Otmar Issing, ex membro del direttorio della Bundesbank ed ex capo economista della Banca centrale europea, e l'irlandese Peter Sutherland, un amministratore di Goldman Sachs international che ha partecipato dietro le quinte al salvataggio dell'Irlanda.

Crisi d’immagine

Come si è costituita questa rete? Negli Stati Uniti è costituita da ex responsabili dell'istituto passati alle più alte cariche della funzione pubblica. In Europa invece Gs è diventata fervida sostenitrice del capitalismo di relazione. Ma al contrario delle sue concorrenti, la banca non si interessa né ai diplomatici in pensione né agli alti funzionari nazionali o internazionali, né tanto meno agli ex primi ministri o ministri delle finanze. Nel mirino ci sono soprattutto i responsabili delle banche centrali e gli ex commissari europei.
Il loro compito principale consiste nel raccogliere informazioni in modo del tutto legale sulle future operazioni o sulla politica dei tassi d'interesse delle banche centrali. La banca americana preferisce piazzare le sue pedine con la massima discrezione. Per questo i suoi uomini cercano di nascondere il rapporto nelle interviste e nelle missioni ufficiali. Bene introdotti, questi "ex" chiacchierano del più e del meno con i loro interlocutori. Le lingue spesso si sciolgono davanti a personaggi così famosi, che sanno capire in che direzione "tira il vento". Dopodiché le informazioni esclusive cominciano a circolare nelle sale della banca.
Un uomo alla Bce, uno a capo del governo italiano, unoin Grecia: in teoria la banca americana disporrebbe oggi di una fantastica rete di relazioni a Francoforte, Roma e Atene che potrebbe rivelarsi molto utile in momenti difficili. Ma al di là delle apparenze, il governo Goldman in Europa non ha più il potere che aveva prima o durante la crisi finanziaria del 2008.
Le vecchie complicità degli ex banchieri centrali si rivelano oggi meno utili di fronte a uomini politici sensibili all'impopolarità dei professionisti della finanza, ritenuti responsabili della crisi. Là dove Gs poteva facilmente esercitare i suoi talenti, una serie di rivelazioni le hanno messo contro i poteri pubblici. Le relazioni non bastano più in un mondo finanziario sempre più complesso e tecnico, e di fronte a una nuova generazione di industriali meno in soggezione di fronte all'establishment.
I grandi imprenditori europei si sono emancipati dai crociati dell'alta finanza stile Gs. La ricerca di rendimento degli azionisti, le esigenze di trasparenza e il dinamismo dei contropoteri (media, ong, investitori istituzionali) tendono a cancellare "l'effetto rete". (traduzione di Andrea De Ritis)