Organizziamoci e lottiamo per una "Repubblica Federata Democratica Europea", politicamente Unita, libera, sociale e indipendente. Una Nazione Europea alternativa alla falsa EU imposta dalla Troika, dalle banche e dalla massoneria deviata col solo scopo di schiavizzare e immiserire gli Europei in nome di un presunto Liberismo
lunedì 31 ottobre 2011
Debito pubblico e Signoraggio monetario: IL DEBITO PUBBLICO
Debito pubblico e Signoraggio monetario: IL DEBITO PUBBLICO: Sentiamo parlare spesso del cosidetto "debito pubblico", ma cos'è il debito pubblico! Secondo quanto riportato nel supplemento del bolletti...
domenica 30 ottobre 2011
L'Europa tradita
La lettera della Bce pubblicata dal Corriere della Sera è davvero illuminante perché, oltre ai contenuti economici e sociali, pone un grande problema di democrazia. Va sgombrato innanzitutto il campo da una tentazione: siccome la lettera “commissaria” un governo impresentabile, come quello Berlusconi – il peggior governo della storia repubblicana – allora vuol dire che hanno ragione i tecnocrati europei, in questo caso Trichet e Draghi, che non si limitano più a dare lezioni all’Italia ma impartiscono veri e propri diktat. La lettera, invece, è paradossalmente peggiore della manovra economica approvata ad agosto dal governo.
Si tratta di un manifesto liberista di inusitata durezza. Chiede, infatti, misure che ancora non sono state varate come la liberalizzazione totale dei servizi pubblici locali, in spregio del referendum che la scorsa primavera ha bocciato la privatizzazione dell’acqua; interviene sul mercato del lavoro addirittura con una intromissione eclatante sul piano delle relazioni sindacali e sulla necessità di aumentare ancora la flessibilità del lavoro; si spinge per una revisione delle norme che regolano assunzioni e licenziamenti (misura prontamente recepita dal ministro Sacconi con l'articolo 8 della manovra); chiede di andare ancora oltre sul piano della riforma delle pensioni; infine, si spinge fino a consigliare non più solo il blocco del turn-over ma la riduzione degli stipendi pubblici, tra i più bassi d’Europa, come è già successo in Grecia. Non dice nulla, al contrario, su rendite finanziarie, grandi patrimoni, evasione fiscale. Un’omissione che la dice lunga sul “movente all’agire” dell’attuale e del futuro presidente della Banca centrale europea. I quali si preoccupano di rassicurare i mercati, cioè i forzieri delle grandi banche, assicurazioni e società finanziarie, pieni di titoli di Stato italiani e che temono la pur minima forma di insolvenza. Colpisce, tra l’altro, che a consigliare di tagliare le pensioni e ridurre gli stipendi pubblici sia un uomo come l’attuale governatore della Banca d’Italia che percepisce una ricchissima pensione pubblica, di oltre 14 mila euro lordi al mese.
Quella della Bce non è quindi solo una lettera di intenti, ma un manifesto-shock che non tiene conto delle lezioni degli ultimi venti anni – tutte all’insegna della flessibilità del lavoro, dei tagli alle pensioni, del congelamento dei salari, con i risultati che sappiamo – e deve far riflettere sul futuro che ci aspetta, anche dopo un eventuale caduta del governo Berlusconi. E’ chiaro, infatti, che un probabile governo tecnico oggi non potrebbe che fondare la sua ricetta economica su quel tipo di misure e sul rapporto organico con la Banca centrale. Non vanno in questa direzione le preoccupazioni del “buon padre di famiglia”, Giorgio Napolitano?
Ma la lettera pone anche un problema serissimo di democrazia. Chi decide del nostro futuro, della nostra vita, delle nostre condizioni sociali? Né Trichet, né Draghi, né la Commissione europea sono espressione del voto popolare. L’Unione europea è una struttura non democratica e che, incurante di questa condizione, pretende di imporsi quale attore politico sui governi e sui parlamenti nazionali. Nella lettera questa contraddizione si esprime in modo eclatante sulla questione dei servizi pubblici locali: la Bce ne chiede la privatizzazione, la maggioranza assoluta dei cittadini italiani si è espressa per la loro pubblicità.
Non si tratta di contrapporre un’astratta sovranità nazionale alla tecnocrazia europea.
Si tratta di discutere seriamente di democrazia. E oggi abbiamo davanti a noi due strade: o si realizza un’Unione europea davvero democratica, con un Parlamento e un governo centrale che rispondano al corpo elettorale oppure i popoli europei non avranno altra scelta che quella di non riconoscesi nel volto della tecnocrazia.
di Salvatore Cannavò, da ilmegafonoquotidiano.it
Si tratta di un manifesto liberista di inusitata durezza. Chiede, infatti, misure che ancora non sono state varate come la liberalizzazione totale dei servizi pubblici locali, in spregio del referendum che la scorsa primavera ha bocciato la privatizzazione dell’acqua; interviene sul mercato del lavoro addirittura con una intromissione eclatante sul piano delle relazioni sindacali e sulla necessità di aumentare ancora la flessibilità del lavoro; si spinge per una revisione delle norme che regolano assunzioni e licenziamenti (misura prontamente recepita dal ministro Sacconi con l'articolo 8 della manovra); chiede di andare ancora oltre sul piano della riforma delle pensioni; infine, si spinge fino a consigliare non più solo il blocco del turn-over ma la riduzione degli stipendi pubblici, tra i più bassi d’Europa, come è già successo in Grecia. Non dice nulla, al contrario, su rendite finanziarie, grandi patrimoni, evasione fiscale. Un’omissione che la dice lunga sul “movente all’agire” dell’attuale e del futuro presidente della Banca centrale europea. I quali si preoccupano di rassicurare i mercati, cioè i forzieri delle grandi banche, assicurazioni e società finanziarie, pieni di titoli di Stato italiani e che temono la pur minima forma di insolvenza. Colpisce, tra l’altro, che a consigliare di tagliare le pensioni e ridurre gli stipendi pubblici sia un uomo come l’attuale governatore della Banca d’Italia che percepisce una ricchissima pensione pubblica, di oltre 14 mila euro lordi al mese.
Quella della Bce non è quindi solo una lettera di intenti, ma un manifesto-shock che non tiene conto delle lezioni degli ultimi venti anni – tutte all’insegna della flessibilità del lavoro, dei tagli alle pensioni, del congelamento dei salari, con i risultati che sappiamo – e deve far riflettere sul futuro che ci aspetta, anche dopo un eventuale caduta del governo Berlusconi. E’ chiaro, infatti, che un probabile governo tecnico oggi non potrebbe che fondare la sua ricetta economica su quel tipo di misure e sul rapporto organico con la Banca centrale. Non vanno in questa direzione le preoccupazioni del “buon padre di famiglia”, Giorgio Napolitano?
Ma la lettera pone anche un problema serissimo di democrazia. Chi decide del nostro futuro, della nostra vita, delle nostre condizioni sociali? Né Trichet, né Draghi, né la Commissione europea sono espressione del voto popolare. L’Unione europea è una struttura non democratica e che, incurante di questa condizione, pretende di imporsi quale attore politico sui governi e sui parlamenti nazionali. Nella lettera questa contraddizione si esprime in modo eclatante sulla questione dei servizi pubblici locali: la Bce ne chiede la privatizzazione, la maggioranza assoluta dei cittadini italiani si è espressa per la loro pubblicità.
Non si tratta di contrapporre un’astratta sovranità nazionale alla tecnocrazia europea.
Si tratta di discutere seriamente di democrazia. E oggi abbiamo davanti a noi due strade: o si realizza un’Unione europea davvero democratica, con un Parlamento e un governo centrale che rispondano al corpo elettorale oppure i popoli europei non avranno altra scelta che quella di non riconoscesi nel volto della tecnocrazia.
di Salvatore Cannavò, da ilmegafonoquotidiano.it
by mamauri at 9:20 pm
sabato 29 ottobre 2011
Cheddafi eliminato perchè era un pericolo per gli anglo-americani
Ero personalmente presente a Roma, la sera del 30 agosto 2010, alla celebre festa data da Berlusconi alla caserma di Tor di Quinto, in onore di Muhammar Gheddafi, nell’occasione dell’anniversario della firma del trattato di amicizia italo-libica.
Ascoltai con viva attenzione il discorso pronunziato dal leader libico dinanzi ad un parterre di tutto riguardo, nel quale si segnalavano alti gerarchi militari, banchieri e capitani d’industria di casa nostra, vistosamente imbarazzati dall’obbligo di sottostare ad un cerimoniale così pomposo allestito per un ospite tanto pittoresco ed ingombrante.
Il giorno successivo alla festa, i nostri mezzi di stampa, con i soliti toni prevenuti verso Gheddafi, dettero conto agli italiani di un “discorso di sfida” lanciato dal colonnello all’indirizzo dell’Italia e dell’Europa, raccontando però soltanto una parte del discorso del leader libico, cioè quella più consona a prestarsi alle consuete campagne conformistiche del nostro giornalismo, tutto intento a gettare discredito sul significato dell’alleanza italo-libica: mi riferisco alla controversa questione del controllo sui flussi immigratori, che effettivamente occupò una parte importante dell’intervento del leader. Gheddafi sul punto usò un linguaggio alquanto duro e franco: “Se ci tenete a conservare il più a lungo possibile la vostra identità etnico-culturale di popoli europei – disse il colonnello – allora dovete fidarvi del mio ruolo di repressore della tratta illegale degli africani; in caso contrario – aggiunse – un’emigrazione incontrollata dei popoli dell’Africa (il continente giovane e prolifico per antonomasia) verso il vecchio continente, unitamente al vostro calo delle nascite, vi farà oggetto di una vera e propria conquista demografica”.
Questa parte del discorso poteva – e può ancora oggi – prestarsi ad interpretazioni controverse, ma quello che i mass-media di destra e di sinistra omisero totalmente di raccontare all’opinione pubblica riguardò due parti ben diverse del discorso di Gheddafi: e fu ascoltando quelle parti del discorso che mi resi conto che era stato davvero un miracolo, per il capo di una nazione del cosiddetto Terzo Mondo, l’essere riuscito a sopravvivere per più di 40 anni ai vertici della sua nazione senza essere fatto fuori dalle potenze che governano il globo (ormai sappiamo bene come andò l’incidente di Ustica nel 1980 e sospettiamo a buona ragione che Bettino Craxi potrebbe avere pagato a caro prezzo la impavida idea di avvisare il colonnello nell’imminenza del bombardamento reaganiano della sua residenza, nel 1986).
Il colonnello si rivolse agli astanti mettendo due volte il coltello nella piaga: in primo luogo, alluse al periodo fascista, alla brutale repressione delle tribù libiche messa in atto dal maresciallo Graziani (il quale, com’è noto, fece uso di gas tossici per sterminare i libici), parlò dei campi di concentramento creati da noi italiani negli anni ’30 del novecento, esaltò la figura dell’eroe Omar al-Mukhtar, il celebre “Leone del deserto” immortalato nel pluri-censurato film del 1981 con la grande interpretazione di Anthony Quinn.
Senza mezzi termini, il colonnello Gheddafi quella sera, dinanzi a fior di militari nostrani con tanto di stellette, ferì l’orgoglio di noi italiani, esortandoci a chiedere loro “scusa” per quello che i nostri padri-nonni avevano compiuto nella loro terra.
Ricordo perfettamente le sue parole: “Dovete fare conoscere ai vostri figli – infierì nelle nostre coscienze sporche – i crimini commessi da voi italiani nel periodo del colonialismo in Libia, così come io quest’oggi ho mostrato al vostro Presidente Berlusconi, che ringrazio per l’attenzione dimostratami, le foto dei campi di concentramento da voi stessi costruiti nel mio Paese”.
A chiusura dell'intervento, il colonnello fece una riflessione prettamente geopolitica che a mio avviso costituì il punto più importante del suo discorso, senz’altro quello che fece andare in bestia gli osservatori britannici e statunitensi presenti in giacca e cravatta, sempre “vigili” e pronti ad intervenire ogniqualvolta in Italia qualcuno mostra di far sul serio in politica estera, distaccandosi dal loro padronato.
“Mi rivolgo a voi italiani ed a tutti i popoli che si affacciano sulle coste del Mediterraneo – esclamò il colonnello –E’ giunta l’ora che il Mediterraneo torni ad essere mare nostrum, nel senso che deve appartenere unicamente a quelle nazioni posizionate sulle sue rive. Non possiamo più consentire che potenze lontane geograficamente debbano conservare la loro supremazia militare e marittima sul nostro mare. Dobbiamo, prima o poi, iniziare a liberarcene perché ormai i tempi sono maturi per una svolta strategica”.
Ma guarda un po’ – pensai tra me e me – un leader di un Paese in via di sviluppo trova la forza e l’ardimento di venire in un Paese ex potenza coloniale non soltanto per rivendicare, al cospetto delle sue massime cariche, l’esigenza sacrosanta di una richiesta di scuse per le note responsabilità storiche ma perfino per esortare la medesima ex potenza coloniale (cioè la misera Italietta di questi anni) a trovare il coraggio di affrancarsi finalmente dal giogo soverchiante delle nazioni vincitrici del secondo conflitto mondiale, in primis Gran Bretagna e U.S.A.
A ripensarci adesso, dopo un anno e 2 mesi in cui è successo proprio di tutto, il discorso di quella sera di fine estate fu davvero una lezione di dignità per noi italiani, anche se probabilmente nemmeno Gheddafi era consapevole del livello di appiattimento valoriale se non di inebetimento collettivo della nostra comunità nazionale, ormai incapace anche soltanto di pensarsi libera e autonoma da quei centri di potere che, in nome dell’esportazione della democrazia, seminano guerre, crisi economiche e depressioni sociali da un capo all’altro del pianeta.
Forse ci aveva sopravvalutato – il colonnello Gheddafi – quando aveva pensato che, dopo l’infamia del colonialismo novecentesco, non saremmo stati capaci di violare ancora una volta il suolo e il diritto all’autodeterminazione del popolo libico.
Noialtri, poi, cosa abbiamo davvero capito della guerra di Libia del 2011? Noi cittadini ingannati da una classe politica di così infimo livello degna davvero di una Repubblica delle banane; noi impoveriti nelle tasche e surclassati nell’animo da un ceto dirigente che, tranne pochissime eccezioni, è totalmente vassallo di quegli stessi centri di potere finanziario di matrice anglosassone che, proprio in questi ultimi tempi, stanno portando a termine il noto programma del New World Order, che passa inevitabilmente per un azzeramento della sovranità nazionali, sia in politica che in economia; noi telebeoti, umiliati e gabbati da un ceto giornalistico che in quest’epoca di menzogne ha conservato un livello di dignità e deontologia professionale inferiore al mestiere di prostituta (senza offesa per le prostitute)!
Ebbene, mentre noi dormivamo, e ancora dormiamo su 7 cuscini, il colonnello Gheddafi aveva ben compreso i disegni dei gruppi oligarchici che dominano l’Europa e – forse ancora per poco – il mondo. Aveva sfidato i piani di dominio coloniale dell’Africa, in cui si distingue una Francia mai tanto famelica dai tempi di Napoleone, lavorando per progetti di integrazione continentale (mutuati dal modello latino-americano): Fondo Monetario Africano, una nuova moneta-dinaro sganciata dal dollaro, un satellite pan-africano. Aveva individuato proprio nella anacronistica NATO (sorta nel 1949 per contrastare, si immagini, il fantasma comunista!) e nella sua pesante presenza nel Mediterraneo, la chiave del dominio anglo-americano sul continente europeo e sui Paesi del nord-Africa. E infatti, i più informati sanno bene che alla NATO, dopo la devastazione della ex Jugoslavia e l’annientamento del popolo serbo, mancavano ancora due soli tasselli nazionali per poter dire completato il mosaico dell’alleanza atlantica nel Mediterraneo: guarda caso, proprio la Libia dell’indomito Gheddafi e la Siria del filo-russo e filo-iraniano Assad.
In tanti per fortuna hanno cominciato ad aprire gli occhi su questa ennesima carneficina "umanitaria" congegnata dall’Alleanza Atlantica, che lascerà pesanti macerie nel già traballante sistema di diritto internazionale; altri – forse – capiranno a distanza di qualche tempo cosa è davvero successo a poche centinaia di chilometri in linea d’aria da noi.
Ma al momento della sua (presunta) morte, occorre rendere onore alle doti di intrepido coraggio e di non comune fierezza del colonnello Gheddafi: ha combattuto fino alla fine, senza alcuna paura degli aggressori, incarnando il desiderio di autodeterminazione e di lotta al colonialismo per il quale sarà ricordato per generazioni da milioni di africani e, assieme a loro, da tutti i popoli sottomessi ai padroni del mondo.
Dalla relativa conoscenza che posso avere io della situazione sul campo, credo davvero difficile che i libici, ancorchè privati della loro guida, possano essere totalmente sottomessi dall'imperialismo: continueranno a combattere e, alla fine, i colonialisti dovranno tornarsene ancora una volta a casa.
20 ottobre 2011.
Giuseppe Angiuli
Ascoltai con viva attenzione il discorso pronunziato dal leader libico dinanzi ad un parterre di tutto riguardo, nel quale si segnalavano alti gerarchi militari, banchieri e capitani d’industria di casa nostra, vistosamente imbarazzati dall’obbligo di sottostare ad un cerimoniale così pomposo allestito per un ospite tanto pittoresco ed ingombrante.
Il giorno successivo alla festa, i nostri mezzi di stampa, con i soliti toni prevenuti verso Gheddafi, dettero conto agli italiani di un “discorso di sfida” lanciato dal colonnello all’indirizzo dell’Italia e dell’Europa, raccontando però soltanto una parte del discorso del leader libico, cioè quella più consona a prestarsi alle consuete campagne conformistiche del nostro giornalismo, tutto intento a gettare discredito sul significato dell’alleanza italo-libica: mi riferisco alla controversa questione del controllo sui flussi immigratori, che effettivamente occupò una parte importante dell’intervento del leader. Gheddafi sul punto usò un linguaggio alquanto duro e franco: “Se ci tenete a conservare il più a lungo possibile la vostra identità etnico-culturale di popoli europei – disse il colonnello – allora dovete fidarvi del mio ruolo di repressore della tratta illegale degli africani; in caso contrario – aggiunse – un’emigrazione incontrollata dei popoli dell’Africa (il continente giovane e prolifico per antonomasia) verso il vecchio continente, unitamente al vostro calo delle nascite, vi farà oggetto di una vera e propria conquista demografica”.
Questa parte del discorso poteva – e può ancora oggi – prestarsi ad interpretazioni controverse, ma quello che i mass-media di destra e di sinistra omisero totalmente di raccontare all’opinione pubblica riguardò due parti ben diverse del discorso di Gheddafi: e fu ascoltando quelle parti del discorso che mi resi conto che era stato davvero un miracolo, per il capo di una nazione del cosiddetto Terzo Mondo, l’essere riuscito a sopravvivere per più di 40 anni ai vertici della sua nazione senza essere fatto fuori dalle potenze che governano il globo (ormai sappiamo bene come andò l’incidente di Ustica nel 1980 e sospettiamo a buona ragione che Bettino Craxi potrebbe avere pagato a caro prezzo la impavida idea di avvisare il colonnello nell’imminenza del bombardamento reaganiano della sua residenza, nel 1986).
Il colonnello si rivolse agli astanti mettendo due volte il coltello nella piaga: in primo luogo, alluse al periodo fascista, alla brutale repressione delle tribù libiche messa in atto dal maresciallo Graziani (il quale, com’è noto, fece uso di gas tossici per sterminare i libici), parlò dei campi di concentramento creati da noi italiani negli anni ’30 del novecento, esaltò la figura dell’eroe Omar al-Mukhtar, il celebre “Leone del deserto” immortalato nel pluri-censurato film del 1981 con la grande interpretazione di Anthony Quinn.
Senza mezzi termini, il colonnello Gheddafi quella sera, dinanzi a fior di militari nostrani con tanto di stellette, ferì l’orgoglio di noi italiani, esortandoci a chiedere loro “scusa” per quello che i nostri padri-nonni avevano compiuto nella loro terra.
Ricordo perfettamente le sue parole: “Dovete fare conoscere ai vostri figli – infierì nelle nostre coscienze sporche – i crimini commessi da voi italiani nel periodo del colonialismo in Libia, così come io quest’oggi ho mostrato al vostro Presidente Berlusconi, che ringrazio per l’attenzione dimostratami, le foto dei campi di concentramento da voi stessi costruiti nel mio Paese”.
A chiusura dell'intervento, il colonnello fece una riflessione prettamente geopolitica che a mio avviso costituì il punto più importante del suo discorso, senz’altro quello che fece andare in bestia gli osservatori britannici e statunitensi presenti in giacca e cravatta, sempre “vigili” e pronti ad intervenire ogniqualvolta in Italia qualcuno mostra di far sul serio in politica estera, distaccandosi dal loro padronato.
“Mi rivolgo a voi italiani ed a tutti i popoli che si affacciano sulle coste del Mediterraneo – esclamò il colonnello –E’ giunta l’ora che il Mediterraneo torni ad essere mare nostrum, nel senso che deve appartenere unicamente a quelle nazioni posizionate sulle sue rive. Non possiamo più consentire che potenze lontane geograficamente debbano conservare la loro supremazia militare e marittima sul nostro mare. Dobbiamo, prima o poi, iniziare a liberarcene perché ormai i tempi sono maturi per una svolta strategica”.
Ma guarda un po’ – pensai tra me e me – un leader di un Paese in via di sviluppo trova la forza e l’ardimento di venire in un Paese ex potenza coloniale non soltanto per rivendicare, al cospetto delle sue massime cariche, l’esigenza sacrosanta di una richiesta di scuse per le note responsabilità storiche ma perfino per esortare la medesima ex potenza coloniale (cioè la misera Italietta di questi anni) a trovare il coraggio di affrancarsi finalmente dal giogo soverchiante delle nazioni vincitrici del secondo conflitto mondiale, in primis Gran Bretagna e U.S.A.
A ripensarci adesso, dopo un anno e 2 mesi in cui è successo proprio di tutto, il discorso di quella sera di fine estate fu davvero una lezione di dignità per noi italiani, anche se probabilmente nemmeno Gheddafi era consapevole del livello di appiattimento valoriale se non di inebetimento collettivo della nostra comunità nazionale, ormai incapace anche soltanto di pensarsi libera e autonoma da quei centri di potere che, in nome dell’esportazione della democrazia, seminano guerre, crisi economiche e depressioni sociali da un capo all’altro del pianeta.
Forse ci aveva sopravvalutato – il colonnello Gheddafi – quando aveva pensato che, dopo l’infamia del colonialismo novecentesco, non saremmo stati capaci di violare ancora una volta il suolo e il diritto all’autodeterminazione del popolo libico.
Noialtri, poi, cosa abbiamo davvero capito della guerra di Libia del 2011? Noi cittadini ingannati da una classe politica di così infimo livello degna davvero di una Repubblica delle banane; noi impoveriti nelle tasche e surclassati nell’animo da un ceto dirigente che, tranne pochissime eccezioni, è totalmente vassallo di quegli stessi centri di potere finanziario di matrice anglosassone che, proprio in questi ultimi tempi, stanno portando a termine il noto programma del New World Order, che passa inevitabilmente per un azzeramento della sovranità nazionali, sia in politica che in economia; noi telebeoti, umiliati e gabbati da un ceto giornalistico che in quest’epoca di menzogne ha conservato un livello di dignità e deontologia professionale inferiore al mestiere di prostituta (senza offesa per le prostitute)!
Ebbene, mentre noi dormivamo, e ancora dormiamo su 7 cuscini, il colonnello Gheddafi aveva ben compreso i disegni dei gruppi oligarchici che dominano l’Europa e – forse ancora per poco – il mondo. Aveva sfidato i piani di dominio coloniale dell’Africa, in cui si distingue una Francia mai tanto famelica dai tempi di Napoleone, lavorando per progetti di integrazione continentale (mutuati dal modello latino-americano): Fondo Monetario Africano, una nuova moneta-dinaro sganciata dal dollaro, un satellite pan-africano. Aveva individuato proprio nella anacronistica NATO (sorta nel 1949 per contrastare, si immagini, il fantasma comunista!) e nella sua pesante presenza nel Mediterraneo, la chiave del dominio anglo-americano sul continente europeo e sui Paesi del nord-Africa. E infatti, i più informati sanno bene che alla NATO, dopo la devastazione della ex Jugoslavia e l’annientamento del popolo serbo, mancavano ancora due soli tasselli nazionali per poter dire completato il mosaico dell’alleanza atlantica nel Mediterraneo: guarda caso, proprio la Libia dell’indomito Gheddafi e la Siria del filo-russo e filo-iraniano Assad.
In tanti per fortuna hanno cominciato ad aprire gli occhi su questa ennesima carneficina "umanitaria" congegnata dall’Alleanza Atlantica, che lascerà pesanti macerie nel già traballante sistema di diritto internazionale; altri – forse – capiranno a distanza di qualche tempo cosa è davvero successo a poche centinaia di chilometri in linea d’aria da noi.
Ma al momento della sua (presunta) morte, occorre rendere onore alle doti di intrepido coraggio e di non comune fierezza del colonnello Gheddafi: ha combattuto fino alla fine, senza alcuna paura degli aggressori, incarnando il desiderio di autodeterminazione e di lotta al colonialismo per il quale sarà ricordato per generazioni da milioni di africani e, assieme a loro, da tutti i popoli sottomessi ai padroni del mondo.
Dalla relativa conoscenza che posso avere io della situazione sul campo, credo davvero difficile che i libici, ancorchè privati della loro guida, possano essere totalmente sottomessi dall'imperialismo: continueranno a combattere e, alla fine, i colonialisti dovranno tornarsene ancora una volta a casa.
20 ottobre 2011.
Giuseppe Angiuli
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